Torna MDB Summah Radio con una puntata dedicata ad un nostro affezionato ascoltatore, Ulrich Anders, che ci presenta un *suo* fil rouge con la *sua* musica preferita!

Premessa

Ho delineato questa playlist in funzione, chiaramente, dei miei gusti personali, ma anche attorno ad un tema specifico – come, da quanto ho capito, dovrebbe essere lo spirito del podcast.

Il tema che ho scelto è le intersezioni tra musica e videogame. Come per molti di voi, nel corso della mia vita le due passioni si sono evolute in un rapporto di reciprocità. Da un lato, la mia passione per l’elettronica deriva dalla natura synthetica delle musiche dei videogame; dall’altro, attraverso il background di molti compositori videoludici, indirettamente ho subìto l’influenza del metal.

Tuttavia, l’esplorazione del tema vuol andare un po’ oltre manifestazioni intermediali più dirette come le colonne sonore videoludiche risuonate da musicisti, o la scena dei remix o della chiptune, se non altro perché si tratta di campi troppo vasti, in cui sarebbe facile perdersi, e per occuparsene con un minimo di esaustività bisognerebbe concepire ben più di una semplice playlist. Piuttosto, l’obiettivo prefissato abbraccia la sfera delle suggestioni: programmatori e game designer colpiti e influenzati da particolari melodie, e viceversa, musicisti che hanno colto e elaborato nei loro dischi il fascino dell’estetica digitale propria del videogioco.

Partiamo col botto. We Have Explosive è il contributo dei Future Sound of London a quella miracolosa convergenza linguistica che risponde al nome di Wipeout 2097, titolo che uscì nel 96 sulla prima PlayStation. Il gioco ebbe diversi seguiti,

tutti di spessore, ma nessuno riuscì ad eguagliare quella magia, forse non per demeriti soggettivi, ma perché a noi giocatori Wipeout 2097 ci aveva ormai già sinesteticamente sverginati, e dopo era impossibile provare le stesse sensazioni. A proposito di MDB, penso che nessun gioco mi abbia mai fatto bestemmiare più di Wipeout 2097: nei livelli più avanzati, raggiungeva velocità disumane, in cui, per avere una qualche remota possibilità di vittoria, bisognava entrare in assoluta simbiosi con la Macchina: l’urto improvviso contro le pareti di un tornante particolarmente ostico, era un trauma sensoriale, una violenta falcata dentro la vagina del cervello.

Il secondo pezzo della playlist proviene da un altro partecipante di assoluto splendore alla colonna sonora di Wipeout 2097, gli ormai celebri Chemical Brothers. Anziché scegliere il brano della OST, in ossequio allo spirito “tagenziale” che informa questa avventura sonora-digitale, ho optato per quel Leave Home che

faceva da apripista allo storico Exit Planet Dust, album che consegnava i fratelli chimici al firmamento delle star dell’IDM universale. Leave Home è una dichiarazione di intenti. I fratelli stanno diventando grandi. Ci stacchiamo dalla tradizione dei nostri padri non per ripudiarla, semplicemente per ritagliarci nel mare magnum delle esperienze possibili una strada a sé conforme. Quando torneremo a casa, saremo adulti. E solo allora potremo capire cos’è Casa. Solo allora potremo amare Casa. Ohm Sweet Ohm, per dirla coi Kraftwerk, da cui i fratelli chimici estrassero il sample per questa Leave Home. Partire per ritornare. Partire È ritornare.

E quindi eccoci nella Germania dei mitologici Seventies. I Kraftwerk si formano a Düsseldorf nel 1970, ma per arrivare ai Kraftwerk come li conosciamo oggi, dobbiamo aspettare il 74 e l’uscita del terzo disco, Autobahn o addirittura il 75, anno in cui venne pubblicato il quarto album, Radio-Activity, che contiene

appunto la Ohm Sweet Ohm di cui sopra. Ci riferiamo alla parte centrale del decennio, dunque, lo stesso periodo in cui avvenne l’esplosione del medium videoludico (la fondazione di Atari è del 72), il quale iniziò a penetrare nell’immaginario collettivo e forgiare fantasia e gusto dei giovani. I Kraftwerk, da buon artisti, da un lato preconizzano l’estetica audiovisiva videoludica, rendendo melodioso e armonioso il complesso di stridii prodotti dalla Macchina, dall’altra ne sono a loro volta influenzati, finendo per inglobarne il linguaggio, captando le radiazioni elettromagnetiche che in quel periodo iniziavano a infestare l’aria. Perciò ho scelto un brano come Pocket Calculator. Sono l’operatore della mia calcolatrice tascabile. La Macchina dilaga, ha invaso le tasche di tutti noi e tracima nella nostra ontologia. Digito ergo sum.

Dall’Occidente al Giappone, il passo è breve. Per i giochi (dopo la crisi dei primi anni 80, il Giappone diverrà la patria della produzione videoludica), ma anche per la musica. Yellow Magic Orchestra sono considerati la risposta nipponica ai Kraftwerk. Un po’ riduttiva come visione, ma rende l’idea. In effetti, forse nessuno

meglio dei YMO ha tematizzato e estetizzato l’esplosione del videogame, al contempo assorbendone i presupposti e ponendo le basi per futuri sviluppi. La loro rilevanza mi sembra tale che ho scelto due brani anziché uno come negli altri casi. Computer Game si spiega da solo. Chiptune ante litteram con una proprietà di linguaggio che i moderni epigoni si sognano. Rydeen testimonia l’enorme debito di ispirazione che i compositori di OST nipponici accumularono nel corso degli anni nei confronti del trio Hosono-Takahashi-Sakamoto, Sega e Sonic Team in primis.

Rydeen* trovò impiego in vari giochi e in particolare nel 1982 fu utilizzata direttamente da Sega per un suo coin-op, Super Locomotive. Lo sviluppatore Anthony Crawter, evidentemente, fu colpito da questo particolare connubio intermediale (esprimere digitalmente la musicalità delle ruote che battono ciclicamente le rotaie), e compì un’operazione simile col suo Loco per C64, che vantava una magistrale resa chiptune di Equinoxe Pt.5 di Jean-Michel Jarre. In seguito, Crawter pensò di rinverdire il felice binario audioludico con Suicide Express, che abbandonava carbone e vapore a favore di una peciosa sferragliante impronta cyber: meccaniche caotiche e farraginose, musicalmente il gioco

suonava un brano non molto conosciuto qui in Italia, Sky degli Hotta. * Ho inserito il link a YouTube perché non trovo la versione originale su Spotify.

Con gli Hot Butter facciamo un salto all’indietro fino al 1972. Popcorn fu uno dei primi successi popolari di musica elettronica, riedizione strumentale easy listening del pezzo composto 3 anni prima dal pioniere elettronico, genio del Moog, Gershon Kingsley. La scoppiettante melodia spopolò in ambito videoludico –

esistono cover chiptune per tutti i principali computer casalinghi degli anni 80 -, ma il primo e forse più emblematico impiego si deve a Sega che (ancora) nel 1982 scelse il pezzo per accompagnare le avventure del suo pinguino in Pengo, uno dei primi successi arcade della casa di Tokyo. Sega non acquisì i diritti per usare il pezzo al di fuori del Giappone, perciò in molte versioni del gioco troviamo musica originale: Popcorn impregnò così tanto il DNA binario del gioco che le versioni con OST diversa risultano impoveriti; le meccaniche sembrano soffrire l’assenza del ficcante motivetto.

Ma torniamo in Germania. Kernkraft 400 è la prima pubblicazione del progetto tedesco Zombie Nation, monicker dietro cui si nasconde il dj/produttore Florian Senfter. Nel 1999 Senfter ha la geniale idea di prendere di peso uno dei motivetti di Lazy Jones, Star+dust, e ficcarlo in una struttura di elettronica da ballo: il

successo fu immediato e planetario, Kernkraft 400 divenne uno dei brani dance più famosi di sempre, agguantato da eventi sportivi televisivi e film. Da notare che “Kernkraft” è il tedesco di “energia atomica” e il monicker dei succitati padri dell’elettronica, “Kraftwerk”, significa “centrale elettrica”: il synth scheletrico che veicola la melodia centrale, non si discosta molto dal SID originale, conferendo al pezzo un mood molto vecchia scuola, e sebbene siamo ormai nel nuovo millennio, il gusto di fraseggi e ritmiche richiama istanze kraftwerkiane. È bene precisare che non si trattò di un caso di plagio: David Whitaker, autore del motivo originale su Commodore 64, ricevette adeguato e riconosciuto (sebbene mai dichiarato) compenso.

Restando in Germania, con gli Atari Teenage Riot il riferimento al medium digitale si fa esplicito fin dal titolo. Se già nel suono di Zombie Nation ardeva qualche ruvidezza techno, qui le cose si fanno abrasive ed incendiarie. Into the Death è una sorta di metafora videoludica che a sua volta veicola una metafora esistenziale:

una schizofrenica corsa verso la morte. Nell’attimo di tregua concesso dalle smitragliate digital hardcore, la parentesi più marcatamente chiptune del pezzo, tra i synth ballonzolanti, disperata recita: “Life is like a videogame with no chance to win”. Più diretti di così…

Mark Pritchard, classe 1971, nome noto ai più per il progetto collaborativo dei primi anni 90 Global Communication, ha l’aria del nerd cresciuto, come noi, a pane e videogiochi. L’immaginario retrofuturistico, fatto di desolanti scenari di nero sconfinato, attraversati da ordinati intrecci di linee dai colori sgargianti,

squarciati dai bleep e dai glitch a cui siamo tanto affezionati, governati da asettici gracchianti campionamenti vocali, insomma quanto preconizzato dai Kraftwerk 40 anni prima, confluisce nel suo recente progetto solista, Harmonic 313. Word Problems, in particolare, è una canzone che è anche un videogioco. In senso letterale. Come forma promozionale, infatti, all’epoca dell’uscita del disco When Machines Exceed Human Intelligence, un videogioco Word Problems esisteva davvero: collegandosi al sito di Harmonic 313, si veniva catapultati in un universo synthetico|sinestetico a risolvere semplici puzzle basati sulla corrispondenza tra colori e lettere dell’alfabeto; superato il quinto livello, si veniva premiati da un pezzo inedito dell’autore sotto forma di MP3. Purtroppo ora il gioco non esiste più – dannato We/b/uco nero; in compenso possiamo ancora goderci la canzone, che probabilmente è già abbastanza gioco così com’è – le esplicitazioni in pixel sono tautologia.

Per chiudere la scaletta, andiamo ora ad esplorare, attraverso un mix, un ambito in cui l’espressione musicale nel medium digitale ha raggiunto risultati tra i più sfiziosi: la classica. Non ci interessano qui gli usi in cui banalmente si tenta di arricchire di pathos l’azione di gioco puntando ad atmosfere epiche, magniloquenti, malinconiche, etc bensì le situazioni che si sono distinte per originalità, spirito e, ovviamente, tecnica; i casi “emblematici”, se vogliamo. Partiamo dal Preludio op. 28 n. 20 di Frédéric Chopin che il talentuoso Mark Cooksey, a soli 19 anni, adottò per accompagnare musicalmente l’ottima conversione di Ghost ‘n Goblins per il Commodore 64. Elite Systems, editor del porting, evidentemente, non acquisì dalla CapCom i diritti della soundtrack: Cooksey dovette ingegnarsi a realizzarne una ex-novo, creando

quello che di fatto era un mash-up di composizioni preesistenti. Una intro costituita da pochi funerei accordi che causarono brividi in tutti i felici possessori del Commodore 64.
A proposito di brividi. E a proposito di Chopin. Uno dei giochi maggiormente citati quando si parla del genere horror è, ça va sans dire, il capostipite Alone in the Dark. Al di là della tensione saggiamente orchestrata mediante un sapido connubio di riferimenti lovecraftiani, inquadrature, illuminazione, design dei mostri, jump

scares e quant’altro, il titolo Infogrames solcò la sensibilità dei giocatori dell’epoca in particolare durante la sequenza precalcolata di game over: uno degli zombie che infestavano la magione, trascinava il corpo esanime del giocatore attraverso un agghiacciante tunnel, sulle note soavi di un danzabile motivetto (Op. 69 n. 1, conosciuto anche come Valzer dell’addio) che sembrava quasi beffarsi della macabra drammaticità dell’evento. Rimanendo in tema di beffe, ma cambiando registro espressivo, passiamo alle celebri soundtrack della serie Parodius, nella quale i folli sviluppatori Konami, forse traendo spunto dal principio dei Looney Tunes secondo il quale la musica classica è divertente, inaugurarono un uso peculiare e caratteristico delle composizioni classiche, le quali inaspettatamente si incastravano alla perfezione nel tono grottesco e dissacrante tipico dei demenziali shooter konamici. Abbiamo scelto uno dei momenti più memorabili della saga, il boss del terzo livello di Parodius Da!, conosciuto come Hot Lips, in cui l’azione già frenetica del gioco viene ulteriormente infervorata dall’incedere baldanzoso dell’iconico “can-can” – volendo essere precisi dal punto di vista della terminologia musicale, si tratta di un galop – tratto dall’operetta in due atti di Jacques Offenbach Orfeo all’inferno.

Con intenti espressivi non dissimili, il celebre compositore di colonne sonore videoludiche Tommy Tallarico adottò spesso musica classica per le proprie soundtrack. In particolare, trasse dalla Sonata per pianoforte n° 14 di Beethoven, meglio conosciuta come Sonata al Chiaro di luna, il commento musicale per ben due livelli di Earthworm Jim 2, il primo movimento per la stralunata estasi del livello “Villi People”, e il terzo movimento per lo stage conclusivo, la corsa a rotta di collo di “See Jim Run, Run Jim Run”.

Com’è noto, Earthworm Jim, uscito nel 1994, fu uno degli ultimi grandi platform game per Megadrive – convertito poi per vari sistemi. Nello stesso anno giungeva dal Giappone un altro titolo a piattaforme che possiamo considerare, al pari del titolo Shiny, come il canto del cigno della console Sega: Dynamite Headdy, ad opera dei Treasure, developer formatisi tra le fila Konami; le origini degli autori è piuttosto evidente, se non altro per il tono fuori di testa che permea l’intero gioco: se torniamo a considerare il summenzionato Parodius, è un cerchio che si chiude. Lo scontro col primo boss del gioco, il cosiddetto Mad Dog, avviene all’interno di una sala da concerto, con tanto di orchestra intenta ad eseguire la celebre Marcia tratta da Lo Schiaccianoci di Tchaikovsky. Dalla stessa suite proviene la composizione, conosciuta come Danza della Fata Confetto, che Nintendo scelse per la sua versione NES del classico dei classici Tetris, gioco che forse più di qualunque altro ha istituzionalizzato nel medium digitale l’appropriazione chiptune dei pezzi classici: ci serviamo del suo assoluto valore storico ed espressivo come outro di questa playlist.